giovedì 27 gennaio 2022

[Recensione] "Il pane perduto" di Edith Bruck

 


Per non dimenticare e per non far dimenticare, Edith Bruck, a sessant’anni dal suo primo libro, sorvola sulle ali della memoria eterna i propri passi, scalza e felice con poco come durante l’infanzia, con zoccoli di legno per le quattro stagioni, sul suolo della Polonia di Auschwitz e nella Germania seminata di campi di concentramento. Miracolosamente sopravvissuta con il sostegno della sorella più grande Judit, ricomincia l’odissea. Il tentativo di vivere, ma dove, come, con chi? Dietro di sé vite bruciate, comprese quelle dei genitori, davanti a sé macerie reali ed emotive. Il mondo le appare estraneo, l’accoglienza e l’ascolto pari a zero, e decide di fuggire verso un altrove. Che fare con la propria salvezza? Bruck racconta la sensazione di estraneità rispetto ai suoi stessi familiari che non hanno fatto esperienza del lager, il tentativo di insediarsi in Israele e lì di inventarsi una vita tutta nuova, le fughe, le tournée in giro per l’Europa al seguito di un corpo di ballo composto di esuli, l’approdo in Italia e la direzione di un centro estetico frequentato dalla “Roma bene” degli anni Cinquanta, infine l’incontro fondamentale con il compagno di una vita, il poeta e regista Nelo Risi, un sodalizio artistico e sentimentale che durerà oltre sessant’anni. Fino a giungere all’oggi, a una serie di riflessioni preziosissime sui pericoli dell’attuale ondata xenofoba, e a una spiazzante lettera finale a Dio, in cui Bruck mostra senza reticenze i suoi dubbi, le sue speranze e il suo desiderio ancora intatto di tramandare alle generazioni future un capitolo di storia del Novecento da raccontare ancora e ancora.

Vincitore del premio Strega giovani 2021, Il Pane Perduto è un racconto autobiografico in cui l’autrice racconta la sua drammatica esperienza nei campi di concentramento.

Ditke è una bambina ungherese che vive in un piccolo villaggio con la sua povera, ma numerosa famiglia. Nel 1944, a poco più di tredici anni, viene deportata prima nel ghetto ebraico di una grande città (forse Budapest), poi nel campo di concentramento a Dachau, ad Auschwits, dove sopravviverà miracolosamente, e infine a Bergen-Belsen. Dopo avere perso la sua famiglia al campo di Dachau, rimarrà con lei solo la sorella maggiore Judit, che sarà la sua seconda madre, che la assisterà durante tutti i movimenti e i lavori estenuanti cui le sottoporranno i nazisti.

In scarse condizioni sanitarie, all’interno dei campi Ditke conoscerà e vedrà degli orrori che rimarranno per sempre impressi nella sua mente, come la corsa dei poveri ebrei contro il filo spinato per farla finita a tutte le sofferenze, le selezioni dei tedeschi, che la spingeranno a non togliersi la vita e a resistere fin quando non arriverà qualcuno a salvarla. La bambina penserà spesso alla sua famiglia, soprattutto alla madre, che avvertendo un vento di guerra e discriminazione prima della deportazione le diceva che un giorno sarebbe venuto il Messia e che li avrebbe salvati tutti. Supportata, infatti, sempre da un profondo spirito religioso e dal pensiero di avere un Dio sempre pronto a salvarla e a tirarla fuori da qualunque sciagura, riuscirà ad uscire dal campo di sterminio in seguito alla liberazione degli americani, che porteranno tutti gli ebri in ospedali per essere curati. Dopo essere uscite dagli ospedali Judit e Ditke tenteranno di raggiungere i fratelli maggiori Mirjam, Sara e David, dai quali però otterranno un atteggiamento freddo e distaccato. In seguito, dopo una lite le sorelle si divideranno: Judit partirà per la Palestina e Ditke inizierà a scrivere e  continuerà a viaggiare finché non si stabilirà definitivamente in Italia, dove si sposerà e si dedicherà pienamente alla scrittura.

L’autrice parla numerose volte nel libro dell’importanza del pane nella vita quotidiana, di quell’odore di casa e famiglia che le offriva quando era bambina; il pane verrà perduto quando Ditke e la sua famiglia saranno deportati, cercando di prendere un po’ di pane da portare via, non faranno in tempo e da quel momento in poi Ditke non vedrà né mangerà più una pagnotta.

L’autrice definisce i libri “i figli che non ha avuto”, perché le hanno dato la possibilità di sfogarsi e di custodire la memoria di un tragico crimine contro l’umanità che non dovrà mai essere dimenticato.

Ho apprezzato molto questo libro perché, nonostante il tema trattato, riesce a essere molto scorrevole sia per il linguaggio sia per il modo in cui l’argomento viene trattato, descrivendo la vicenda come se tutti fossero in un’unica famiglia, tutti fratelli e sorelle. Inoltre non è trattato solo il tema della Shoah e dell’antisemitismo contro gli ebrei, ma vengono trattati anche messaggi come l’amore  e la famiglia, dell’importanza  del supporto di un genitore o di un parente durante la propria vita per andare aventi in qualsiasi momento. Un altro messaggio che il libro vuole dare è quello della fede, la protagonista infatti non si lascia mai andare allo sconforto, perché sa che il suo Dio non l’abbandonerà e ho trovato molto commovente la lettera a Dio alla fine del libro, nella quale l’autrice lo ringrazia per non averla mai lasciata andare.



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