Vincitore del premio
Strega giovani 2021, Il Pane Perduto è un racconto autobiografico in cui
l’autrice racconta la sua drammatica esperienza nei campi di concentramento.
Ditke è una bambina
ungherese che vive in un piccolo villaggio con la sua povera, ma numerosa
famiglia. Nel 1944, a poco più di tredici anni, viene deportata prima nel
ghetto ebraico di una grande città (forse Budapest), poi nel campo di
concentramento a Dachau, ad Auschwits, dove sopravviverà miracolosamente, e
infine a Bergen-Belsen. Dopo avere perso la sua famiglia al campo di Dachau,
rimarrà con lei solo la sorella maggiore Judit, che sarà la sua seconda madre,
che la assisterà durante tutti i movimenti e i lavori estenuanti cui le
sottoporranno i nazisti.
In scarse condizioni
sanitarie, all’interno dei campi Ditke conoscerà e vedrà degli orrori che
rimarranno per sempre impressi nella sua mente, come la corsa dei poveri ebrei contro
il filo spinato per farla finita a tutte le sofferenze, le selezioni dei
tedeschi, che la spingeranno a non togliersi la vita e a resistere fin quando
non arriverà qualcuno a salvarla. La bambina penserà spesso alla sua famiglia,
soprattutto alla madre, che avvertendo un vento di guerra e discriminazione
prima della deportazione le diceva che un giorno sarebbe venuto il Messia
e che li avrebbe salvati tutti. Supportata, infatti, sempre da un profondo
spirito religioso e dal pensiero di avere un Dio sempre pronto a salvarla e a
tirarla fuori da qualunque sciagura, riuscirà ad uscire dal campo di sterminio
in seguito alla liberazione degli americani, che porteranno tutti gli ebri in
ospedali per essere curati. Dopo essere uscite dagli ospedali Judit e Ditke
tenteranno di raggiungere i fratelli maggiori Mirjam, Sara e David, dai quali
però otterranno un atteggiamento freddo e distaccato. In seguito, dopo una lite
le sorelle si divideranno: Judit partirà per la Palestina e Ditke inizierà a
scrivere e continuerà a viaggiare finché
non si stabilirà definitivamente in Italia, dove si sposerà e si dedicherà
pienamente alla scrittura.
L’autrice parla numerose
volte nel libro dell’importanza del pane nella vita quotidiana, di quell’odore
di casa e famiglia che le offriva quando era bambina; il pane verrà perduto
quando Ditke e la sua famiglia saranno deportati, cercando di prendere un po’
di pane da portare via, non faranno in tempo e da quel momento in poi Ditke non
vedrà né mangerà più una pagnotta.
L’autrice definisce i
libri “i figli che non ha avuto”, perché le hanno dato la possibilità di
sfogarsi e di custodire la memoria di un tragico crimine contro l’umanità che
non dovrà mai essere dimenticato.
Ho apprezzato molto
questo libro perché, nonostante il tema trattato, riesce a essere molto
scorrevole sia per il linguaggio sia per il modo in cui l’argomento viene
trattato, descrivendo la vicenda come se tutti fossero in un’unica famiglia,
tutti fratelli e sorelle. Inoltre non è trattato solo il tema della Shoah e
dell’antisemitismo contro gli ebrei, ma vengono trattati anche messaggi come l’amore e la famiglia, dell’importanza del supporto di un genitore o di un parente
durante la propria vita per andare aventi in qualsiasi momento. Un altro
messaggio che il libro vuole dare è quello della fede, la protagonista infatti
non si lascia mai andare allo sconforto, perché sa che il suo Dio non l’abbandonerà
e ho trovato molto commovente la lettera a Dio alla fine del libro, nella quale
l’autrice lo ringrazia per non averla mai lasciata andare.